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Raffaele Bovenzi

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LA DOMENICA DI LELLO

  LA DOMENICA di Lello                                                                                                                  

    quella di “domenica è sempre domenica”.

 

 

 

 

 

 

 

 

                                Mario Riva ne “il musichiere” 

 

 

[https://www.youtube.com/watch?v=PRjp8x3M6t0]

collegamento youtube alla famosa sigla                                                                                        

 

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Quando ero piccolo, ma nemmeno tanto, mio padre quando andava dal barbiere per il taglio dei capelli, ed i miei erano cresciuti abbastanza, mi portava con lui.

Il barbiere si chiamava “Pagliaruolo” e stava alla fine di via Materdei ad angolo con via Santa Teresa degli Scalzi. 

Non è che io ci andassi molto volentieri, ma mai e poi mai avrei fatto dispiacere mio padre e quindi non ho mai fatto trasparire questo mio dissenso, peraltro naturale in molti bambini che non so per quale ragione quando devono tagliare i capelli, piangono spesso.

Il “salone” così chiamato era ampio e luminoso e pulito con 4 postazioni e diversi dipendenti ed era sempre affollato, specialmente la domenica.

L’aria che si respirava era un misto di fumo di sigarette e dopobarba, un odore tipico da barbiere, che come l’odore “fiat” oggi è scomparso per lasciare posto ad un aria più salubre e “condizionata”.

L’attesa per il taglio, data la folla domenicale, a volte era lunga e questa cosa mi infastidiva un poco anche perché, essendo piccolo, non riuscivo a comprendere i discorsi che gli avventori facevano e che spaziavano dalla politica (molto poco, evidentemente la prudenza dato che stiamo parlando degli anni 50-60) alla attualità, ma principalmente si commentavano gli episodi di cronaca recenti e quasi sempre “rionali”.

Quando veniva il nostro turno, papà era “servito” da uno dei barbieri titolari mentre a me spesso toccava quello giovane, quasi apprendista considerate le scarse pretese sul taglio dei capelli. Poco male, tanto all’epoca il taglio era “standard” non c’era molta scelta: erano sfumatura alta o bassa, taglio così detto alla “spazzola” per i giovanotti e classico, con la riga o con il ciuffo, per i più grandi.

Quando era il mio turno, al centro del salone compariva 

la sediolina per i bambini, che essendo bassi, non 

potevano accomodarsi in quelle classiche sedie 

per adulti. Questa sediolina quasi simile alla 

grande aveva la particolarità di avere davanti la testa 

di un cavalluccio, fatta apposta per distrarre i bambini 

più recalcitranti al taglio. A me era indifferente non mi 

distraeva ed affrontavo il taglio tranquillamente senza 

particolari fastidi se non quello finale del rasoio per 

sistemare “la scozzetta” (ossia la parte posteriore del                   

taglio in basso al collo) che mi procurava dei fastidiosi                                          le famose sedie del “barbiere”              

ma brevi brividi.

A proposito devo dire che quella che oggi sarebbe considerata una forma di bullismo era proprio il “rito della scozzetta” ossia quello schiaffetto sulla nuca che i compagni e gli amici ti davano, quando ti presentavi da loro con i capelli tagliati da poco.

Queste domeniche sono dei ricordi indimenticabili, con immagini presenti e vive, compreso il volto di alcuni dei barbieri, i profumi e i rumori del salone.

Una scenetta tipica avveniva alla fine del taglio, quando il barbiere pronunciava la fatidica frase “ragazzo spazzola”. A quel punto compariva un garzone che di tutto punto si apprestava a pulire i vestiti dai residui dei capelli mentre ti aiutava ad indossare il soprabito; in quel momento la mano di papà cacciava dalla tasca la “mancia” e senza farsene accorgere, regalava qualche “spiccio” al garzone. Il fatto di fare questo gesto quasi di nascosto era una cosa strana e curiosa perché, anche se il padrone sapeva benissimo della mancia, per un inconsapevole rispetto del barbiere e del garzone, la stessa doveva passare inosservata.

La cosa che non dimenticherò mai avveniva nelle feste natalizie, 

quando al momento del pagamento questi ringraziava e 

guardandosi intorno per assicurarsi di non essere visto 

da me, gli consegnava il “calendarietto profumato” quello 

“vietato ai minori” perché conteneva delle pose di ragazze, 

attrici o modelle disegnate o fotografate in pose “audaci”, 

che oggi farebbero sorridere anche i neonati. 

Ovviamente quel calendario scompariva nelle tasche di 

mio padre e a casa veniva nascosto per bene.

Ai miei occhi la consegna furtiva del calendarietto non 

passava inosservata e il suo nascondiglio a casa attirava

la mia curiosità tanto e vero che una volta, seguendo la 

traccia del profumo intercettai il nascondiglio e riuscii a 

guardare le foto proibite. 

Quello che ricordo senza dubbio più delle foto “osè” è                                        il famoso calendarietto

il caratteristico profumo, che sicuramente molti ricorderanno. 

Il rito domenicale del barbiere spesso si concludeva con l’acquisto 

di qualche dolcetto o d’estate di un ghiacciolo.

 

 

 

 

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Queste domeniche con mio padre iniziavano, a volte,con la Messa presso la chiesa “Santa Maria della Stella”. Della santa Messa, mi è rimasto il ricordo delle omelie del frate che la celebrava. Si sa che a molti il momentodella omelia non sempre è tanto gradito, ma 

quelle di quel frate sono state le uniche e senza dubbio le più belle e interessanti prediche che abbia mai sentito perché quel simpatico omone con una altrettanto simpatico

pancione tipico da frate, spiegava il Vangelo del giorno in dialetto napoletano, come fosse un “fattariello” con espressioni ed esempi spesso legati ad episodi di vita quotidiana; una spiegazione veramente efficace e che dava pienamente il senso delle parole degli apostoli.

 

                                                                                                                                                                     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

     

 

             LA CHIESA SANTA MARIA DELLA STELLA

 

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La tappa successiva, a volte, era a casa dei nonni e di zia Italia. 

Nonno Rodolfo e nonna Consiglia. Che bello! 

 

 

Con Nanninella, infatti, si discuteva dei numeri al lotto che, 

giocati il giorno prima dalla nonna e da lei suggeriti, non

erano usciti nella estrazione nonostante lei avesse assicurato 

che erano ambi e terni “sicuri”. Numeri scaturiti e suggeriti

da lei in seguito ad episodi di vita del quartiere.

Non ci crederete ma la commedia di Eduardo “Non ti pago” 

non è niente in confronto alle discussioni, molto bonarie, 

che scaturivano dal battibecco fra nonna e Nannina.                                                         Anna Chirichiello (Nannina)

 

 

Una cosa divertente in quegli incontri erano le parole della “cameriera” che quando cercava di esprimersi in italiano cacciava fuori dei vocaboli spesso incomprensibili, tanto è vero che la nonna aveva un libricino, una sorta di vocabolario, con le traduzioni degli strafalcioni che uscivano dalla sua bocca.

Nonno Rodolfo, lo posso affermare senza cattiveria, era abbastanza “orso”, non partecipava al convivio ma rimaneva nel suo studiolo-laboratorio dove ormai in pensione per passione (oggi si direbbe hobby) aggiustava e costruiva radio e televisioni.

Non posso descrivere cosa fosse quello stanzino. Apparecchiature, valvole, fili, saldatori cacciaviti e cose che ai miei occhi erano una visione unica.

Non ricordo un abbraccio del nonno, una sua carezza, figuriamoci un suo bacio.

Lo stesso della nonna, nonostante il suo carattere fosse diametralmente opposto a quello del nonno, non ricordo momenti di tenerezza come quelli che un nipotino si aspetta.

Le stesse sensazioni le ho vissute con la nonna ed il nonno materno, dei quali allo stesso modo non ricordo momenti di abbracci ed effusioni, nonostante fossi nato e vissuto nella loro casa.

Diverso era il rapporto con zia Italia, con la quale il gap generazionale era minore. 

La zia in quelle domeniche si prodigava a farmi gustare qualche dolcetto fatto con le sue mani e le attenzioni verso me e suo fratello (mio padre) erano veramente tante.

La mattinata scorreva lieta e veloce e più si avvicinava l’ora di pranzo, più gli odori della cucina si sentivano distintamente: ragù, brodini, pasta al forno e dolci si diffondevano per le stanze e rimanevano nelle narici che pare ancora oggi di sentirli.

La casa dei nonni, dove grazie a Dio oggi abito, la sento dentro di me la vivo a pieno. Se penso che tra queste mura, che hanno conservato la stessa forma, hanno vissuto loro, mi sento “a casa” mi sento protetto e ben voluto, come se le loro anime mi proteggessero. Dentro a questi ambienti dove solo i mobili sono cambiati, se chiudo gli occhi li rivedo ancora al loro posto: il nonno nello studiolo, oggi cabina armadio, zia Italia dietro il suo tavolino con la Settimana Enigmistica, passione totalmente ereditata, circondata da pile di libri; la nonna in cucina accanto ai fornelli e “Nannina” seduta su uno sgabello accanto alla finestra con in mano foglietti di giocate del bancolotto.

Che bello! Che sensazione magnifica. Che ricordi!

 

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La domenica a casa mia terminava come meglio 

non potessi sperare: quando passava sotto casa 

il “pallonaro” (il venditore di palloncini) i miei genitori

me ne compravano sempre uno, (pensate quanto 

poco bastava a fare felice un bambino) e poco 

dopo quando passava il carrettino delle “noccioline 

americane”, che si annunciava con il suo caratteristico 

fischio, le noccioline non mancavano di allietare 

la fine della giornata.

                                                                                                                                                                              il venditore di palloni e quello 

                                                                                                                                                                                delle noccioline americane

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Sembrerà poca cosa, ma quegli anni erano semplici e felici e bastava veramente poco a rendere la vita serena; anni in cui la televisione non aveva ancora sopraffatto il dialogo a pranzo, anni in cui la cioccolata era un lusso che provavo una volta all’anno, insieme ai biscotti “savoiardi”, come regalo di compleanno, a volte seguito dalla fatidica torta con le candeline. Anni in cui gli affetti, il rispetto, la semplicità e l’amore erano fondamentali dove intorno al tavolo a pranzo e a cena si viveva veramente “la famiglia”.

La domenica della mia infanzia era una “festa” una giornata particolare che aveva il sapore di un giorno speciale, di un giorno dove la famiglia viveva dei momenti unici e indimenticabili tanto è vero che ancora oggi sensazioni, emozioni, rumori, immagini sono presenti nella mia mente come fossero accaduti ieri.                                                                    

 

 

                                                                 

                                                                     © Raffaele Bovenzi

                                                                              Aprile 2023

 

 

 

 

 

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papà, nonna Consiglia ed io fuori al balcone della casa

dei nonni a Materdei. 

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