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Raffaele Bovenzi

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SONO NATO COSI'

10-11-2020 05:44

RAFFAELE BOVENZI

SOCIAL,

SONO NATO COSI'

sono nato per mano di una levatrice

Sono nato per mano di una levatrice,[1] per dirla in napoletano “una vammana” nella stanza da letto dei miei genitori, senza “parto indolore”, “pilotato” o “nella vasca”, tutto al 5° ed ultimo piano di un palazzone di Via Foria, dove non c’era l’ascensore, il riscaldamento, il frigorifero, la televisione ed il telefono. Non c’era nemmeno il citofono che era sostituito da una specie di tubo e fischietto dove si percepivano appena le parole, ma del resto era inutile, perché la porta blindata di oggi era sostituita da una stupenda porta con vetro satinato e fregi, che bastava spingere per entrare.

Mi lavavano in una tinozza di stagno ed i panni che indossavo erano stirati con un ferro “di ferro” senza vapore riscaldato sulle carbonelle del fornello di cucina, ossia il “’o fuculare” raccolti da uno stendino a cupola poggiato sopra il “braciere” che riscaldava la casa d’inverno ed asciugava pure i panni che non erano stati lavati con l’ammorbidente ma che erano lo stesso morbidi e profumati.

Sul focolare si cucinava il pranzo, nelle pentole di terracotta e nelle stoviglie di porcellana si adagiavano le pietanze pronte per essere portate in tavola.  Il focolare alimentato a carbonella era ingegnoso, perché con cerchi concentrici di ferro si adattava alla grandezza delle pentole, dalla più piccola al pentolone dove si scaldava l’acqua.

Non ho bevuto l’acqua minerale “senza bollicine e senza sodio”; l’acqua che scorreva dal rubinetto ed era fredda di inverno e calda d’estate e che faceva fare lo stesso “plin plin” .

I piatti piani e fondi erano segnati da fenditure ed erano quasi sempre “scardati” e si usavano fino a quando le lesioni non erano da tali da comprometterne la tenuta. Ognuna di quelle lesioni e rotture dei bordi stavano lì a ricordarti i danni fatti con le forchette ed i cucchiai che tanto erano pesanti che spesso nelle mani dei bambini provocavano solo danni.

Non ho bevuto nei bicchieri di plastica acqua versata da bottiglie di plastica e non mi sono mai asciugato la bocca con i tovaglioli di carta ma con dei bellissimi “salvietti” talmente duri che la bocca la scartavetravano per pulirla proprio bene.

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L’acqua calda non era fatta dallo scaldabagno, ma dal fornello della cucina e versata nella tinozza o nel catino dove si lavava la faccia e le mani.

Nel bagno che allora si chiamava gabinetto, c’era solo il cesso, ed era posizionato, non so se per motivi igienici o costruttivi, fuori al balcone della cucina. Il bidet era nella stanza da letto, ma lo usavano solo i grandi, ognuno aveva il suo nella stanza da letto; io ad ogni cambio venivo lavato sotto il lavello del bagno.

Però i bambini avevano la fortuna di fare la pipì e la cacca dentro al vasino rigorosamente di ferro smaltato.

Sono cresciuto senza i pannolini che assorbono la pipì non arrossano la pelle e ti mantengono asciutto, ma con dei pannolini di puro lino che erano morbidissimi.

Sono cresciuto senza la lavatrice sostituita dal lavatoio dove su una asse di legno si sfregavano i panni insaponati con un sapone dal colore giallo e da un odore inconfondibile, ma che lavavano i panni rendendoli bianchissimi, senza il bisogno dell’ammorbidente, dell’anticalcare, del prelavaggio. In effetti il prelavaggio c’era, ma consisteva nel lasciare la biancheria dentro l’acqua e sapone  per uno o due giorni di ammollo.

[1] La levatrice era l'attività svolta nel passato da chi assisteva le donne durante il parto. Oggi sono state sostituite (non dovunque) dalle ostetriche.

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